Se poi veramente i calabroni e le vespe (conforme vuole Eliano) abbiano questa malvagia inclinazione di natura, io non vorrei crederlo. Teofrasto, per quanto si legge nel frammento del libro che scrisse degli animali che son creduti invidiosi, conservato nella Libreria di Fozio, saggiamente tien per fermo che tal maligna invidia non si trovi mai negli animali, che son privi di discorso: e se lo stellione si mangia la propria spoglia; se 'l vitello marino preso da' cacciatori vomita il gaglio; se le cavalle strappano dalla fronte de' figliuoli e si divorano la favolosa ippomane; se il cervio (il che pure è menzogna) nasconde sotterra il corno destro quando gli cade; se 'l lupo cerviere cela alla vista degli uomini la propria orina; e se 'l riccio terrestre tra le mani de' cacciatori si guasta coll'orina la pelle, ei crede che lo facciano o per timore o per qualch'altra cagione appartenente a loro stessi, e non perché vogliano invidiosamente privar gli uomini di que' loro escrementi, dal volgo creduti giovevoli per alcune malattie e per le ridicolose fatture degli stregoni. Ad imitazione di Teofrasto ancor io direi che le vespe e i calabroni ronzassero intorno a' cadaveri de' serpenti non per avvelenare i loro pungiglioni, ma per lo sol fine di nutricarsi, e per lo stesso fine avessero nimicizia e perseguitassero ostinatamente i mosconi e le pecchie. Non è però che le vespe non vivano ancora di fiori e di frutti e freschi e secchi; ma l'uva, ed in particolare la moscadella, troppo ingordamente la divorano, come ne fan testimonianza Cointo Smirneo e Nicandro negli Alessifarmaci, e si vede tutto giorno per esperienza.
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