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      Perloché volli lasciar ripigliar forze allo scorpione, ed in questo mentre osservai che que' piccion grossi, che erano morti, non aveano enfiato né livido veruno nel luogo delle ferite, e le viscere loro non eran punto mutate dallo stato naturale. Il sangue solamente si era mantenuto liquido in tutte le vene, e di esso sangue pur liquido n'era corsa e ritiratasi una gran quantità ne i ventricoli del cuore, il quale perciò appariva molto tumido e gonfio, senza però essersi cangiato né punto né poco dal solito suo natural colore.
      Sapendo io per certezza infallibile e mille volte provata e riprovata che gli animali fatti morire col morso della vipera e col veleno terribilissimo del tabacco si posson sicuramente mangiare, donai questi piccioni avvelenati dallo scorpione ad un pover'uomo, a cui parve di toccare il cielo col dito, e se gli trangugiò saporitissimamente, e gli fecero il buon prò. (vedi figura 01.gif)
      Riposatosi lo scorpione fin'al giorno seguente, che fu il venticinquesimo di febbraio, a ventun'ora ferì cinque volte una cervia nel costato, e cinqu'altre volte nelle natiche, dove la pelle è men dura e senza peli. Ma la cervia non ne rimase né morta né danneggiata. Ed in questa esperienza osservai che lo scorpione, avendo tirato tre colpi di sua volontà, poco o nulla penetrò nella pelle della cervia; io però feci sempre penetrar per forza il pungiglione in essa pelle. Quindi dubiterei se possa esser vero che gli scorpioni di Barberia abbian forza d'uccidere i leoni, i cammelli e gli elefanti, che sono armati d'un cuoio durissimo e grossissimo: pure mi rimetto alla fede di quegli autori che lo scrivono, e tanto più me ne rimetto, mentre considero che questo mio scorpione, col quale ho fatte le suddette esperienze, è fuor del suo paese nativo in un clima differente ed è stato già più d'otto mesi senza cibo, stracco e strapazzato: al che si aggiunga che, quando ferì la cervia e gli altri piccion grossi, che non morirono, avea forse consumato tutto quel velenoso liquore che stagna nella cavità del pungiglione e non avea per ancora avuto tanto tempo da poterne rigenerare; e ciò verrebbe riconfermato dall'avergli fatto ferire il giorno seguente una folaga ed un piccion grosso che non morirono; e due giorni appresso, a' vent'otto di febbraio, due altri piccion grossi, e a' sei di marzo una grand'aquila reale, senza che né l'aquila né i piccioni ne perdessero la vita.


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Esperienze intorno alla generazione degl'insetti
di Francesco Redi
pagine 127

   





Barberia