Io per ora non mi sento inclinato a crederlo, non avendo per esperienza veduto cosa che mi appaghi pienamente l'intelletto; son però sempre prontissimo a mutare opinione, e tanto più se quelle rane mentovate da Plinio fossero state azzannate e morse da qualch'idro, o vero da qualch'altro loro inimico serpentello della razza velenosa di quegli che dal nostro divino Poeta nella settima bolgia dell'Inferno furon riposti:
Ed ecco ad un, ch'era da nostra proda,
S'avventò un serpente che 'l trafisseLà dove 'l collo alle spalle s'annoda.
Né o si tosto mai, né i si scrisse,
Com'ei s'accese ed arse, e cener tuttoConvenne che cascando divenisse:
E poi che fu a terra sì distrutto,
La polver si raccolse, e per sé stessaIn quel medesmo ritornò di butto.
Ma queste e quelle son mere favole, e gli animali che sembravano aver qualche membro impastato di sola terra, se meglio fossero stati ravvisati, assai manifesto sarebbe apparso che solamente erano terrosi ed imbrattati di fango; e se nel terreno, nel fango e nella belletta de' campi e delle paludi nasce qualche vivente, questo avviene perché in quei luoghi vi sono state partorite prima l'uova e l'altre semenze abili a produrne il nascimento, conforme che Aristotile e Plinio raccontano delle locuste o cavallette; delle quali favellando il dottore Zaccaria Ben Muahammed Ibn Mahmud della città di Casbin in Persia, citato sotto nome d'Alcazuino, lasciò scritto nel libro arabico Delle maraviglie delle creature: Quando le locuste pasturano di primavera, cercano un terreno grasso, e umido sopra di cui si gettano, e colle code scavano certe fossette nelle quali ciascheduna di esse partorisce cent'uova.
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