Ma quando pure per le strepitose strida degli scolastici dovesse in ogni modo esser vero che dall'ignobili cose non si potessero produrre le più nobili, io non so per me vedere qual gran vergogna o quale stravagante paradosso mai sarebbe il dire che le piante, oltre alla vita vegetativa, godessero ancora la sensibile, la quale le condizionasse e le facesse abili alla generazione degli animali che da esse piante son prodotti. Democrito, che per testimonianza di Petronio Arbitro omnium herbarum succos expressit et, ne lapidum virgultorumque vis lateret, aetatem inter experimenta consumpsit, non sdegnò di concedere il senso alle piante. Pittagora e Platone ebbero questo stesso parere; e l'ebbero similmente Anassagora ed Empedocle, se dar vogliamo fede ad Aristotile che, nel primo libro Delle piante lo riferisce: Anaxagoras men oun kai Empedokles epithymiai tauta kineisthai legousin, aisthanesthai te kai lypeisthai, kai edesthai diabebaiountai; on ho men Anaxagoras kai zoa einai kai hedesthai kai lypeisthai eipe, tete aporroei ton phyllon, kai tei auxesei touto eklambanon. Ma i ricreduti Manichei empiamente passarono più avanti, come racconta sant'Agostino, e tennero che le piante avessero anima ragionevole e che però fosse misfatto d'omicidio il coglierne frutti o fiori, lo strapparne violentemente foglie e rami e sradicarle totalmente dal suolo. Plotino però fu molto più moderato, scrivendo che elle hanno sentimento sì, ma intormentito e stupido della stessa maniera che lo hanno l'ostriche, le spugne e gli altri simili animali che piantanimali nelle scuole sono chiamati.
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