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XV.
Fui ben grato al cortese Majneri, mentre in mezzo a quell'orrido anfiteatro di picchi e di geli ci sorridevano liete ore nell'ultimo piano del Cenisio, a 2100 metri sopra il livello del mare; e Norberto Rosa usciva a celebrare le trote del lago con questo bizzarro sonetto:
Chi vuol saper quanto può fare il casoNell'accoppiar due disparate teste,
Qui del Cenisio sulle algenti cresteVenga, e ben tosto ne sarà persuaso.
Vedrà il cantore dalle note mesteChe il Sinaï e il Taborre ebbe a Parnaso;
E il segusin che ritentò le pesteDi quel d'Arezzo che cantò del naso.
Vedrà il primier, in suo pensiero assorto,
Tener sul lago le pupille immote:
Immote sì da disgradarne un morto!
L'altro, in cerca di grilli e di carote,
Correr di qua di là per suo diporto,
E più che il lago contemplar le trote!....
XVI.
Le dolenti visioni di Susa tornarono ad assalirmi, e turbavano la gaiezza di quella compagnia; ond'io sapendo di trovarmi fra due buoni italiani, stretta ad ambidue la destra, non mi tenni dallo sclamare: - O cari fratelli, qui più che altrove ci si rappresenta la comune patria, contristata dagli avidi conquistatori. Oh quante volte da queste Alpi, potenti stranieri con seguito formidabile di armati si affacciarono al giardino d'Italia, e sempre ardenti della libidine di signoria, scesero a disertare le nostre belle contrade!
Scendeva Annibale rinnovando il giuramento del padre contro i Romani, ed al valore de' suoi soldati in premio promettendo il sacco delle nostre città. Scendeva Carlo Magno, e benedetto dal pontefice di Roma cacciava d'Italia il Longobardo; cacciava uno straniero per assicurare fra noi il suo dominio: straniero egli più dei Longobardi, che ormai, per lunga dimora, eransi, nella dolcezza del nostro cielo, addomesticati alle nostre usanze.
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La Dora
Canti e prose
di Giuseppe Regaldi
Tipogr. Sebastiano Franco Torino 1864
pagine 263 |
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