XXIX.
Queste pie memorie io raccoglieva nell'autunno del 1854, allorchè la prima volta per un viale di salici, fra 'l mormorio delle acque cadenti e 'l canto de' pastori e dei coloni, saliva il poggio del Monastero della Novalesa.
Le cronache lo ricordano coronato di splendore sotto i Carolingi, fra i monasteri che dovevano provvedere dona et militiam. Carlo Magno, quando venne a prostrare il regno de' Longobardi, vi dimorò parecchi giorni con dimostrazioni di particolare affetto. Suo figlio Ugone si fe' monaco e fu assunto alla dignità di Abate del Monastero; nel quale crebbero a dismisura le ricchezze e i titoli di giurisdizione, e fiorirono uomini segnalati per dottrina e santità.
Il monastero toccò la maggiore sua prosperità al sorgere del secolo nono. Ricco e potente, talvolta peccò di cupidigie mondane, e nel 906, predato e distrutto dai Saraceni di Frassineto, giacque miserabile rovina.
Risorto sullo scorcio del secolo X, si mantenne in umile condizione sino al 1601, quando nella persona di Antonio Provana rivestì l'antica dignità abbaziale.
XXX.
Pochi monaci io trovai nel chiostro della Novalesa. Mi strinsi col padre Ilario, pel quale aveva una commendatizia.
Padre Ilario era un vecchio monaco di antica stampa: avea abbandonato gli agi dell'opulenta sua casa per associarsi ai solitari delle Alpi, e fedele alla regola di S. Benedetto, vivea nella preghiera e nel lavoro.
Il suo nome era in benedizione nella valle. Se ne' paesi vi erano dissidii da quietare, sventure da confortare, il padre Ilario sollecito colle parole del Vangelo andava a portare la concordia, la pace e la speranza; e consolava i poveri di elemosine, e riconciliava i moribondi con Dio, e quando non era chiamato ad opere di cristiana pietà, pregava e lavorava nei campi del monastero.
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La Dora
Canti e prose
di Giuseppe Regaldi
Tipogr. Sebastiano Franco Torino 1864
pagine 263 |
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