Rotte fra i sassi in giù; non era il ventoChe investìa le foreste, e sibilando,
D'una in altra scorrea; ma veramenteUn rumor di viventi, un indistinto
Suon di favelle e d'opre e di pedateBrulicanti da lungi, un agitarsi
D'uomini immenso. Il cor balzommi: e il passoAccelerai. Su questa, o re, che a noi
Sembra di qui lunga ed acuta cimaFendere il ciel, quasi affilata scure,
Giace un'ampia pianura, e d'erbe è foltaNon mai calcate in pria. Presi di quella
Il più breve tragitto: ad ogni istanteSi fea il rumor più presso: divorai
L'estrema via; giunsi sull'orlo, il guardoLanciai giù nella valle, e vidi... oh! vidi
Le tende d'Israëllo, i sospiratiPadiglion di Giacobbe: al suol prostrato,
Dio ringraziai, li benedissi, e scesi.
XXIII.
Tutto qui è evidenza, tutto verità, se ne levi la corona di piante che il poeta nella foga delle immagini diede alle brulle cime del Rocciamelone, dove è muta ogni vegetazione, nè può tronco d'albero, nè filo d'erba germinare.
Carlomagno seguiva i consigli del diacono Martino, per la via da lui calcata mandando un manipolo de' suoi prodi, e secondo Cesare Balbo26 metteva una schiera per le gole laterali e non guardate di Giaveno (cioè nella parte più meridionale della valle) intorno al Pirchiriano, e così prendeva alle spalle i Longobardi.
Non mi sembra però probabile che i Franchi tenendo la via del diacono, potessero fare il cammino segnato dal Balbo; imperocchè le gole laterali di Giaveno erano le note vie de' Franchi, calcate due volte da Pipino, in ogni dove dai Longobardi affortificate e vigilate; oltrechè Martino, movendo di là per recarsi alla Novalesa, avrebbe facilmente incontrato i Franchi, e avuta certa notizia dei regali attendamenti senza travagliarsi per diversi giorni in dubbi e difficili cammini.
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La Dora
Canti e prose
di Giuseppe Regaldi
Tipogr. Sebastiano Franco Torino 1864
pagine 263 |
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