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      III.
     
      Dopo un'ora e mezzo di aspro cammino fra selve di castagni giungemmo alle cime del monte; e quivi su d'uno spianato vidi gli avanzi di un piccolo edifizio ottangolare, antico sepolcro de' monaci, di maniera moresca nelle nicchie e finestruole. Passando oltre, avrei immaginato di appressarmi alla fantastica dimora delle fate, se già non avessi saputo di trovarmi in cospetto alle gigantesche mura della Badìa, in parte risparmiate dal tempo a testimoniare l'ardire dei primi edificatori di tanta mole, monumento bizzarro e massiccio, monastico e feudale, su gli acuti vertici del Pirchiriano.
      Trasportiamoci col pensiero sulle Alpi, quando incerti e male agevoli erano i passi chiusi da foltissime selve, e temuti castelli facevano paura ai minacciati viandanti. Il popolo facile per l'indole sua a dar fede al maraviglioso, vedendo sul Pirchiriano sorgere l'edificio di colossale struttura, con ponti levatoi, torri e bastite, dedicato all'Arcangelo Michele, nella sua ingenua ignoranza reputandolo superiore all'industria umana, lo avrà facilmente creduto lavoro de' celesti, origine alle leggende e alle frequenti visioni.
     
     
      IV.
     
      Entrato per una porta coperta di ferro e salendo per tortuosa via fra acacie e ginepri virginiani e per diversi ordini di scale, giunsi ad altra porta che mette nel cenobio.
      Le reliquie di antichi dipinti, le grigie pietre quadrangolari bene commesse, e i due pilastri su cui poggia l'arco della porta a tutto sesto, i bizzarri loro capitelli con leoni nei tre lati rozzamente scolpiti, gli uni addossati agli altri e avviticchiati nelle code, imprimono nell'alta facciata del monistero una cupa severità, sì che nell'ingresso del chiostro ci si presenta l'immagine veneranda e temuta del vecchio abate con pastorale e spada.


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La Dora
Canti e prose
di Giuseppe Regaldi
Tipogr. Sebastiano Franco Torino
1864 pagine 263

   





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