XIII.
Cesare Balbo e Massimo D'Azeglio.
Cesare Balbo in una delle sue novelle narrate da un maestro di scuola racconta il caso della Bella Alda, innestando qualche cosa di suo alla leggenda30. Suppone accaduto il tristo caso verso il 1200 o 1300, al tempo d'una delle discese de' Francesi per la Comba di Susa; e imagina che soldati di Francia tentino la onestà di Alda e la costringano a precipitarsi giù per i dirupi del Pirchiriano.
Per tal guisa lo scrittore prende occasione a rimproverare la baldanza de' Francesi, e lamenta l'oltraggio che spesso a noi fanno i temerari stranieri.
Massimo d'Azeglio, poeta e pittore31, inventa i casi del monaco Arnaldo, e splendidamente narrando e ritraendo le tradizioni e le pittoresche veduto della Badìa, mette in bocca al monaco il racconto, e gli fa dire che il caso di Alda sia avvenuto ai tempi di Federico Barbarossa, quando gli Imperiali scorrazzavano audacemente in quella valle, ponendo a sacco e distruggendo Susa, Avigliana e tutte le circostanti castella, indignati di Umberto III, Conte di Savoia, che di animo guelfo teneva per il Papa. Le quali cose egli narrando ne accende di sdegno contro i nemici, che ci vengono da Lamagna.
In quanto all'essersi Alda insuperbita del miracolo e l'aver fatto un secondo salto onde morì, il D'Azeglio scusa la stranezza del racconto dicendo: «Ha sete sempre l'animo nostro di maraviglie, nè trovandole vicine, le cerca nel remoto passato e nel tenebroso avvenire».
Il Balbo invece osserva: «Non approvati mai dalla Chiesa, ma esercitati sovente anche coll'autorità di alcuni ecclesiastici, erano appunto quelli che si chiamavano Giudizi, ma furono vere tentazioni di Dio.
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La Dora
Canti e prose
di Giuseppe Regaldi
Tipogr. Sebastiano Franco Torino 1864
pagine 263 |
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