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      XXII.
     
      La Festa della Pentecoste.
     
      Il sacerdote, mio cortese Cicerone, avvertendo ch'io notava molte cose vedute od udite, mi disse:
      - Fareste assai bene di registrare fra le vostre memorie la nostra festa della Pentecoste, la più grata di Avigliana.
      - Ben volentieri lo farò, se voi avrete la bontà di narrarmene i particolari, gli risposi.
      Allora il sacerdote mi condusse dirimpetto alla chiesa di S. Pietro nel vasto cortile degli Allais, sotto la tettoia affumicata, in cui tremolavano rami di edera, e v'erano carri e manipoli di fieno ed altre masserizie.
      - Tutto questo ingombro vien tolto la vigilia della Pentecoste, esclamò il sacerdote. Questo luogo, abbarrato pel buon ordine, vien conceduto ai preparativi della festa. Entro i buchi della muraglia affiggonsi pali, cui si appendono, assicurate con uncini a ferree collane ad uso de' bestiami, trenta lucide caldaie piene d'acqua, di fagiuoli e ceci.
      - Ma, io interruppi impaziente, chi dà tutta codesta roba?
      - È elemosina del popolo, ripigliò il prete. Quattro confratelli della parrocchia di S. Giovanni, tre volte all'anno, girano per le case a questuare grano, meliga, legna e danaro; e tutto viene convertito nella compera de' prescritti legumi per il convito della Pentecoste. E perchè quanti ne mangeranno abbiano la salute dell'anima e del corpo, il parroco di S. Giovanni in rocchetto e stola e con seguito di altri preti viene a benedire la pia imbandigione.
      Compiuto il rito della benedizione, si appicca il fuoco alle legna accatastate sotto le trenta caldaie fra la pubblica allegrezza.


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La Dora
Canti e prose
di Giuseppe Regaldi
Tipogr. Sebastiano Franco Torino
1864 pagine 263

   





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