Gli Italiani del mezzogiorno trovarono incresciose le nebbie e le nevi di Torino, e sospiravano i soli, gli aranci e la perenne primavera di Napoli e di Palermo. I Toscani e i cittadini della Emilia trovarono troppo compassata e gelida la realtà del nostro vivere, e preferendo la ideale voluttà delle arti, invocavano le loggie dell'Orgagna e le torri di Giotto, i prodigi di Michelangelo e di Raffaello, e le glorie della scuola bolognese.
Di poi si andò accagionando il Piemontesismo di tutti i malanni del mondo. Se freddo era il verno, caldo l'estate, se ne accusava il mal clima del Piemonte. Lo accusavano delle malattie e delle cure, che, mortali anch'essi, soffrivano talvolta gli onorevoli Deputati, e taluni maledicevano alla cucina de' Subalpini quando mai nel mattino non trovassero ben acconciati i maccheroni ben cotte le costolette nel caffè del Cambio, ove per solito adunavansi per disporre lo stomaco alla eloquenza parlamentare.
Fu dichiarata Torino benemerita per il suo passato, ma non più comportabile il Piemontesismo, che dal fondo della Penisola costringeva molti a salire sin qui per toccare il seggio del Governo e attingere alla sorgente della vita pubblica.
In tale stato di cose indarno ripetevasi che in Torino non il Piemonte governava, ma l'Italia coi Deputati ed i Ministri delle diverse provincie. Non giovava più rammentare che durò due secoli in Pavia il Regno Longobardo, divenuto quasi nazionale, senza trasferire il suo seggio in sito più centrale, come a Benevento, e senza i telegrafi, le strade di ferro e gli altri benefizi della civiltà presente.
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La Dora
Canti e prose
di Giuseppe Regaldi
Tipogr. Sebastiano Franco Torino 1864
pagine 263 |
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