Allora mi parve di rivedere il deliziosissimo Parco, che, piantato per ordine e sul disegno del Duca Carlo Emanuele I e ritratto dalla pittrice parola del Botero, fu inspiratore a Torquato Tasso nella poetica descrizione de' famosi giardini di Armida.
Non solo il Tasso, io osservava al Casari, si piacque della vista di que' luoghi, ma pure il Chiabrera che celebrò il Parco in tre sonetti, e Vittorio Alfieri che giovinetto colà imaginando caccie rumorose, saltava fossi smisurati e guadava spessissimo la Dora, com'egli racconta nella sua autobiografia.
Tasso, Chiabrera ed Alfieri ci danno lieti ricordi: non così l'italico Tirteo Giovanni Berchet, che sotto i pioppi della Dora lamentava la patria, nè così la gemebonda Torino che piange sui 200,000 morti, sepolti nel prossimo cimitero, costrutto sui piani incantevoli dell'antico Parco e benedetto nel 1829.
XXXI.
Il busto del marchese Tancredi Falletti di Barolo, ch'ebbe tanta parte alla erezione di quel funebre edifizio, ammirasi nella chiesuola del Santo Sepolcro annessa al cimitero, dove si giunge per ombroso viale e si entra per due cancelli.
Al limitare di quel campo di riposo leggesi la iscrizione del Boucheron che conforta nella fede i visitatori: Locus religiosus ossibus revicturis ad quietem datus. Alta croce di pietra su d'un rialto, centro a quattro viali di cipressi, s'alza nel mezzo del campo. Gli corre intorno un muro adorno di lapidi e sculture entro nicchie e cappellette, in faccia alle quali stendonsi altrettante aiuole ove stanno i sepolcri di privata proprietà; e tutta la parte centrale del cimitero è occupata dai sepolcri comuni.
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La Dora
Canti e prose
di Giuseppe Regaldi
Tipogr. Sebastiano Franco Torino 1864
pagine 263 |
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