«Poeta, ugual sorte sarebbe toccata al fondatore del Regno italico fra il Po e la Dora. Ma qui sull'Arno, non più savoiardo, non più piemontese, ma italiano, il lealissimo fondatore, nella patria di Dante e Michelangelo, di Galileo e Machiavello trarrà vita nuova e sicura dall'idioma e dalle arti, dalle scienze e dalla politica della nazione intera».
- Un albero secolare, gli risposi, radicato in terreno acconcio opino che corra pericoli gravi se altri vuole trapiantarlo in campo novello. Ma lasciamo le inutili controversie, e facciam voti che sull'Arno la monarchia trovi la fede costante ed operosa dei popoli subalpini.
Firenze acquista la suprema importanza dello Stato, e Torino la perde. Non per questo il Piemonte dovrà disperare, quasi non potesse altrimenti rifarsi dei danni che ora patisce dalle mutate sue condizioni. Il Governo sappia far cessare i rancori sulla Dora e i timori di cessione territoriale nel suolo subalpino, ad alcuni pretesto, ad altri cagione sincera di malcontento.
Rasserenati così i Piemontesi, metteranno a pruova la loro mente e le loro forze nelle industrie, apparecchiati a rinnovare lo spettacolo degl'Italiani del medio evo che furono il principal nerbo dei commerci nei mercati del mondo.
Torino, non più centro di piccolo Stato, diverrà la città manifatturiera di una popolosa nazione, la Manchester d'Italia; e mettendo i suoi prodotti a concorrenza coi migliori delle altre genti, saprà uguagliarli, se pure non superarli. Allora il Piemonte industriale al resto d'Italia non sarà meno utile del Piemonte politico e guerriero; ed avrà la duplice gloria di aver capitanato la indipendenza nazionale nei campi della politica e dell'industria.
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La Dora
Canti e prose
di Giuseppe Regaldi
Tipogr. Sebastiano Franco Torino 1864
pagine 263 |
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