XXXIV.
NELSESTO CENTENARIO
DI DANTE ALIGHIERICELEBRATO IN FIRENZE
Io lo vidi: il Cantor de' tre regniLevò il capo dal lugubre piano,
Ove al Goto guerriero sovranoReggia e tomba il suo popolo aprì;
E dall'erma pineta odorosaSovra l'ale di cento cherubi
Per cammin di tempeste e di nubiIl conteso Appennino salì.
Io lo vidi: librato ne' cieliAffacciossi alla terra pentita,
Che tra i fiori gli diede la vita,
Ma, noverca, dal seno il cacciò.
Affacciossi con volto sereno,
Volentieri a colei perdonando,
Che l'ingiusta condanna del bandoCon superstiti onori ammendò.
Al vederlo, di Fiesole i côlliDel più splendido april s'ammantarno;
E la gemina riva dell'Arno
Di Casella i concenti mandò.
Esultarono l'ossa nel Tempio
Della Croce, e risorsero i vatiDi Säulle e d'Arnaldo, svegliati
Da Colui che il lor verso animò.
Del Pöeta le ceneri santeTien gelosa Ravenna, ma sale
E vïaggia lo spirto immortaleFra le stelle di libero ciel.
Ei su l'Arno ritorna, chiamatoDal desìo del suo Veltro promesso,
E consacra con mistico amplessoDell'Italia il monarca fedel.
Come, o Dante, mutarsi tu vediL'egra Italia, che serva ploravi
Di tiranni bordello e di schiavi,
Di stranieri ludibrio fatal!
Nella roba di piglio e nel sanguePiù non danno le arpie de' castelli;
Giostra rea non è più di fratelliLa tua scissa contrada natal.
Ora Italia rinacque, baciandoDel tuo sacro volume le carte;
Pria si fece concorde nell'arteColl'unanime culto per te;
Poi coll'armi di Micca e Ferruccio,
Disfidando l'avversa fortuna,
Seppe farsi in te libera ed una,
Nelle leggi concorde e nel Re.
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La Dora
Canti e prose
di Giuseppe Regaldi
Tipogr. Sebastiano Franco Torino 1864
pagine 263 |
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