10°. Che le misure prese contro Galileo non aveano per iscopo di impedire che si studiassero i fenomeni naturali, ma di gastigarlo delle sue mancanze, e di impedirgli di perseverare nel mal vezzo di disturbar le coscienze ed eccitare continui tumulti, trattando di queste cose in pubblico e davanti a gente incompetente;
11°. Che durante il processo Galileo fu trattato in un modo, specialmente per quei tempi, mitissimo, e con mille riguardi, nè sopportò già la tortura (come si è sognato qualche secolo dopo contro le parole stesse del processo, e l'invitto argomento ricavato dall'inusitato silenzio dell'Ambasciatore toscano), nè il carcer duro; ma venuto in lettiga e a tutto suo gran comodo (cioè in 25 giorni) a Roma nell'Aprile del 1633, alloggiò presso il Marchese Niccolini Ambasciatore di Toscana nel palazzo a Villa Medici, e dal 13 al 30 Aprile (dovendosi trattenere a S. Ufficio per subire l'interrogatorio, e dare la risposta cattolica) abitò le stanze cedutegli dal Fiscale, ebbe libertà di passeggiare ed un servitore a sua disposizione;
12°. Che in pena delle sue impertinenze fu condannato (horresco referens!) a recitare per tre anni i sette salmi penitenziali una volta alla settimana e per precauzione, ad impedire cioè i tumulti e la pubblica agitazione, dovette restare rinchiuso per pochi giorni alla detta Villa della Trinità de' Monti; donde passò a Siena presso il Vescovo di quella città Monsignor Piccolomini, e nel Decembre dell'anno stesso, terminata la peste di Firenze, potè esser licenziato a tramutarsi alla sua villa di Arcetri presso Firenze medesima, dove non cessò mai di essere circondato da' suoi scolari, e visitato dai dotti di ogni nazione e dove morì tranquillamente nell'età di ben 77 anni;
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