Essi avevano un bel che dire; un re potente non si acqueta per ragioni. Pipino in sul fatto pensò di vendicarsi altamente, e giurò la loro perdita. Essi tosto seppero, ch’egli radunava a Ravenna un gran numero di truppe, ed una flotta di vascelli, di barche e di zattere per esterminarli. Tal nuova ben lungi dal far che si umiliassero, non gli sospinse ad altro, che ad allestire una flotta, la maggiore che poterono, ed a fornirla d’intrepidi cittadini. Spedirono tuttavia onori a Carlomagno, pregandolo della continuazione della sua amicizia, e con destrezza gli richiamarono in mente quanto avevano operato per la di lui gloria sotto Pavia, e assicurandolo del vivo lor desiderio di potere con prove maggiori concorrere alla grandezza del suo impero. Carlo ascoltò i Legati con affabilità, e poscia congedandoli inspirò loro dolci lusinghe di poter egli cangiare l’animo del figlio riguardo ad essi. L’effetto però mal corrispose all’aspettazione. Pipino continuò i suoi preparativi di guerra. Riunì a Ravenna il nerbo delle sue truppe; raccolse vicino alla città navi di ogni genere, e delle zattere per li canali di basso fondo; tutto in fine approntò onde cominciare le ostilità. In vano gli fu fatto osservare la difficoltà della sua impresa a causa delle situazioni ignote a tutti, fuorchè ai soli abitanti delle Lagune. Pipino credeva di poter tutto ottenere dal valore delle sue truppe, e dall’avvilimento in cui caderebbero i nemici al di lui avvicinarsi. Ma avvenne tutto il contrario. Allorchè i nostri si videro esposti al furore di un re possente, che non lasciava altro partito da prendere, che la vittoria o la morte, si prepararono ad una risoluta difesa.
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