Dopo di che il Doge recavasi verso l’altar maggiore per udirvi la Messa cantata dai musici della Cappella Ducale. Colà giunto, ponevasi ginocchioni sul primo gradino, e in quell’atteggiamento rispondeva alla Messa sino al Confiteor; indi andava a sedere sotto il suo magnifico baldacchino. Compiuto il santo Sagrifìcio, il Doge ritornava processionalmente verso il suo palazzo, preceduto dal Parroco, e dal Clero di San Geminiano, non che dai Canonici di San Marco. Ma quando il corteggio era arrivato alla metà della piazza, cioè al luogo dove prima sorgeva l’antica chiesa, la processione fermavasi, ed il Piovano, dirigendo al Doge la parola, gli ricordava la cagione di questa visita, e l’obbligo di rinnovarla l’anno seguente, aggiungendovi un suo particolare invito. Il Principe rispondeva con cortesia, e prometteva che ciò sarebbe fatto. Il Piovano allora si restituiva alla sua Parrocchia, i Canonici rientravano nella loro chiesa, e il Doge nel suo palazzo.
Durò simil festa sino al 1505, nel qual anno fu dal Governo intrapresa la riedificazione di questo Tempio, che però rimase a lungo imperfetto. Finalmente l’anno 1556 felicemente si compiè sul modello del celebre Sansovino, le cui ceneri onorate vennero in esso riposte. L’uso dell’antica cerimonia venne allora ripigliato senza menomamente alterarne le forme, checchè riguardo a ciò abbiano spacciato alcuni scrittori, aggiungendovi inoltre un’immaginaria tenue offerta del Doge al Piovano. Per conservar poi la memoria, fu posta una pietra rossa nel sito dove il Parroco diceva al Doge le sue parole, pietra che vi si vede ancora.
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