Il popolo affollato, che stava in piazza aspettando, e che non vedea più uscire nessuno dalla sala, non sapea che pensarsi. Mandossi uno de’ giudici del paese per ritrarne il motivo; ma questi rimase egli stesso sì commosso, che colla sua presenza altro non fece, che aumentare la tristezza degli altri. Finalmente il capitano, vincendo per necessità sè medesimo, fa uno sforzo doloroso; stacca le insegne dal luogo dove erano erette, le inalbera su due picche; le passa in mano ai due alfieri, che scortati dai soldati e dal tenente escono in ordinanza dalla sala, e su’ lor passi vengono e il capitano e il giudice e tutti gli altri. Appena fu visto a comparire l’adorato vessillo, che diventò comune il lutto, e universale il pianto. Uomini, donne, fanciulli, tutti mandano singhiozzi, tutti spargono lagrime. Altro più non s’ode, che un lugubre gemito, contrassegno non dubbio dell’ereditario attaccamento di quella generosa nazione verso la sua Repubblica.
Giunta la mesta comitiva in piazza, il capitano toglie dalle picche le insegne, e ad un tempo vedesi calar la bandiera di San Marco dalla fortezza, che tira vent’un colpi di cannone. Due vascelli armati per guardia del porto le rispondono con undici spari e così fanno tutti i vascelli mercantili; fu questo l’ultimo addio, che la fama posta a lutto diede al valor nazionale. Le sacre insegne furono poste sopra un bacino; il tenente le ricevette in presenza de’ giudici, del capitano e del popolo. Indi marciarono tutti con passo lento e melanconico alla volta del Duomo.
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