Colà stavano esse aspettando gli sposi che le raggiungevano col corteggio de’ parenti, degli amici, e di una folla di spettatori. Udivano insieme la messa solenne celebrata dal Vescovo, dopo la quale pronunziava egli un discorso sopra la santità dell’impegno, che gli sposi stavano per contrarre, e sopra i doveri, che Dio stesso a loro imponeva; indi santificavasi la loro scelta colla benedizione episcopale ad ogni coppia. Finite tutte le cerimonie, ognuno degli sposi porgeva la mano alla sua compagna, e, prese in consegna le Arcelle, s’avviavano tutti alle loro case accompagnati da quello stesso lieto cortèo, che gli aveva seguiti alla chiesa. Il rimanente del giorno era consacrato ad una tavola frugale sì, ma saporita, e ad una danza gioviale sì, ma senza arte.
Quando fu poscia fissata la costituzione, stabilito un Doge come capo della Repubblica, e la città cresciuta in ricchezza e popolazione, allora si volle rendere questa cerimonia più brillante e magnifica. Decretossi, che dodici fanciulle di condotta irreprensibile, e di non comune avvenenza, tratte dalle famiglie più povere, venissero dotate dalla nazione, e andassero all’altare accompagnate dal Doge stesso rivestito del suo regal manto, e circondato dal pomposo suo seguito. Allora gli abbigliamenti delle spose ottennero maggior gaiezza e magnificenza. Ritenevano esse, è vero, la modestia e l’innocenza nelle vesti, ch’erano tutte candide, siccome candido era il lungo velo, che dalla testa dove appuntavasi, scendea largamente a ricoprire gli omeri; ma i loro colli vennero fregiati e cinti d’oro, di perle e di gemme.
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