Quelle che non potevano riccamente ornarsi del proprio, non arrossivano di prendere in prestanza, per quel dì, li fregi, e sino la corona d’oro che lor venìa posta in cima al capo, qual segnale di nuove spose. Il Governo avea cura di abbigliare in pari modo quelle, che venivano dotate dal pubblico; ma finita la Festa, dovevano esse restituire tutti gli ornamenti, non ritenendo per se, che la dote. Quest’aggiunta di splendido apparato rese la commovente istituzione ancor più bella e maestosa.
Ma un fatto accaduto intorno l’anno 944 fece sì che la Festa venisse a prendere un nuovo carattere. Alcuni pirati Triestini, avidi sempre di preda gelosi dell’ingrandimento di Venezia, e dolentissimi che le loro sconfitte recassero un lustro sempre più grande al nome Veneto, osarono fra di loro tramare un’orribile insidia. Per assicurarne l’effetto, nella notte precedente alla gran Festa de’ matrimonj, si appiattarono entro le loro barche dietro l’isola di Olivolo. La mattina cogliendo il tempo, che i Veneziani stavano affollati in chiesa per la cerimonia, ecco che a guisa di lampo attraversano il canale, balzano a terra colla sciabola alla mano, entrano in chiesa per tutte le porte ad un tratto, rapiscono le spose appiè dell’altare, s’impadroniscono delle Arcelle, corrono alle barche, vi si gettano dentro colla preda, e fuggono a tutte vele. Che far potevano i pacifici abitanti delle isole, che non altre armi avevano allora a difesa, che festoni di alloro, e ghirlande di fiori?
Il Doge Pietro Candian III presente all’infame oltraggio, compreso d’altissima indignazione, si slancia il primo fuori della chiesa, e seguito dai giovani sposi, e da tutti gli astanti, scorre con essi le strade della città chiama tutti i cittadini alla vendetta, in tutti ne accende smaniosa brama, e tosto un gran numero di barche si appronta, e si riempie di gioventù risoluta col Doge stesso alla testa.
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