Avevano udito parlare di questo paese fatto ricco dal commercio, ed atto a somministrare largo bottino. Tanto bastò perchè se ne invogliassero. Quindi è che Venezia corse allora maggior pericolo di quello che provato avea nella guerra contro Pipino, la cui memoria durava ancor fresca. L’antica Eraclea, o Città-nuova, fu la prima a sperimentare la inumana ingordigia degli Ugri. Depredati i tesori, uccisi gli uomini, arse le case, da per tutto rimase la miseranda impronta della costoro brutalità. Trattarono in simil guisa Equilio, Capo d’Argine e Chioggia; ma non potevano rimaner sazj, se non facevano guasto eguale anche in Venezia. A tal fine posero in ordine le loro barchette portatili, che chiamavano Scafe, tessute di vinchi, o assi sottilissimi, coperte di pelli non concie. Con queste erano usi varcar non solo il Danubio ed altri fiumi più rapidi, ma persino navigare sui mari, sempre corseggiando e predando. Aggiunte alle Scafe quante alte barche poterono raccogliere dai vicini fiumi, s’accinsero a tragittar le lagune, ch’erano il solo inciampo che si frapponesse alla loro conquista. Alle prime minaccie, l’idea spaventevole, che regnava di que’ Cannibali, fece provare a tutta la città le più mortali ambasce. Ma ben presto i bravi isolani si riebbero dal primo sbigottimento, avvertendo, che quanto più grande era il rischio, e terribile il nemico, tanto più conveniva armarsi di coraggio, e mostrare al mondo tutto qual potere abbia su anime Repubblicane l’amor della patria e della natìa indipendenza.
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