Non dovevano essi essere men fortunati de’ loro padri, che di recente avevano vinto su queste stesse acque un re potente con que’ suoi valorosi Francesi soggiogatore di quasi tutta l’Europa. I nemici, quando pur fossero formidabili in terra, nol potevano essere del pari del mare, ove fu uopo non solo forza ed ardire, ma intelligenza ed ingegno. Animati così da un sentimento concorde i Veneziani allestiscono di tutto punto una flotta; il fior della gioventù la riempie; il Doge stesso ne prende il comando, e tutti intrepidi si avviano verso Albiola ad attaccare il nemico. Volano quinci e quindi acutissime freccie, ma il mareggiare dell’onde comincia a dare il vantaggio ai Veneziani, giacchè per esso gli Ugri mal ponno reggersi in piedi sulle picciole loro barche. Il loro ordine di battaglia viene sconcertato e vanno perduti all’aria i loro colpi. I nostri al contrario avvezzi all’agitazione dell’acqua, e pratici al maneggio delle vele, tirano i colpi ben aggiustati, nè ve n’ha neppur uno che vada fallito. Fatti poscia alcuni movimenti di tutta la flotta, investono il nemico di fronte, il tormentano ne’ fianchi, il flagellano in ischiena. Gli Ugri avvezzi alla vittoria resistono con ostinazione rabbiosa, ma sono costretti a cedere e a fuggire, lasciando le lagune coperte di cadaveri e di frantumi di barche.
Vittoria sì segnalata recò il massimo onore al Doge Tribuno, che discese a terra in mezzo alle acclamazioni di tutto il popolo accorso per vedere il suo liberatore. La gloriosissima giornata de’ 29 Giugno, consacrata a San Pietro, lasciò a lungo di sè una gradevole rimembranza, poichè venne annualmente solenneggiata con isplendide Feste.
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