Borghi, città, castella tutto fu atterrato, distrutto. I miseri Narentani, ridotti alla disperazione, chiedono la pace ad ogni costo. Il Doge accordolla, ma esigendo condizioni sì gravose pe’ vinti, che fu tolto a questi per sempre il poter di risorgere. In fatti d’indi in poi non si udì più parlare de’ loro ladronecci, e il mare restò libero ai Veneziani.
Terminata così la più bella impresa, che dopo la nascita della Repubblica si fosse mai eseguita, Orseolo ritornò con lo spirito più tranquillo a visitare quello spazio di circa 350 miglia, che aveva prima trascorso colla rapidità di un guerriero, che vola a combattere. In niun luogo pose Preside o guarnigione; non violò in alcun conto l’autonomia, nè alterò le pratiche ed i costumi degli abitanti, e compiacquesi d’indi in poi di riguardarli come socj ed alleati, non come vinti o sudditi. Bella politica in vero, e molto accorta degli Avi nostri, i quali ben conoscevano, che non solo i popoli colla forza sottomessi, ma quelli ancora, che spontanei si dedicano a lungo andare non senza qualche ribrezzo portano il giogo, ond’è per avvezzarli insensibilmente, conviene da prima far loro credere tutto al contrario, lusingare le loro passioni, e conservare intatti, il più che si può, fin anco i nomi delle cose. Orseolo conchiuse un trattato, in cui si stabilì, che ogni città avesse a pagare un annuo tributo alla Repubblica; che in caso di guerra dovesse ciascuna somministrare un certo numero di marinaj, di soldati e di vascelli, e che i mercadanti Veneziani entrati nei porti e sulle terre dell’Istria e della Dalmazia, avessero a godere piena sicurezza, ed ogni maggior vantaggio per l’esito delle loro merci; siccome la Repubblica per sua parte promise eguali privilegi a tutti gl’Istriani e Dalmati, che per cagion di commercio avessero approdato a Venezia, ed alle lor Patrie ampla protezione e difesa contro ogni loro nemico.
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