Egli è per questo, che allora quando il vascello Ducale era giunto alla bocca del porto, si volgeva al mare colla poppa, e il Vescovo benediceva l’anello nuziale, e presentavalo al Doge; indi versava un gran vaso di acqua santa nel luogo dove dovea cadere l’anello, e il Doge gettandovelo pronunziava in latino queste parole: Mare, noi ti sposiamo in segno del nostro vero e perpetuo dominio.
Simile costumanza venne da parecchi riguardata non solo come bizzarra, ma come ridicola. Pure il filosofo osservatore deve considerarla come saggia, provvida e umana. E chi non sa quanto questa idea di dominio sia propria a risvegliare in ogni uomo sublimi sentimenti e straordinario entusiasmo? Per renderla poi più sensibile, e in certo modo più palpabile anche alle anime rozze e volgari, qual migliore spediente potevasi immaginare, quanto un’augusta cerimonia, il cui simbolo richiamasse in mente quella del matrimonio? Per essa ricordavasi, che il vincolo tra Venezia e l’Adriatico era non meno stretto e indissolubile di quel santo vincolo, che insieme congiunge due sposi, e che siccome tra due sposi devono perpetuamente avvicendarsi i servigi, le difese, gli ajuti, così in questa coppia allegorica dovea regnar sempre un generoso scambio di uffizj. Era il mare sorgente di sicurezza, di opulenza, di gloria alla nostra città, e se in essa diveniva sacro il dovere d’impiegar tutte le sue cure, e gli sforzi maggiori per assicurarsi tanti benefizj, proteggendo la libertà delle sue acque, d’altra parte era giusto, che ad esso tributasse solennemente i sentimenti di pubblica riconoscenza.
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