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      Quivi l’acqua viene raccolta in un ampio recipiente quadrato, le cui alte pareti di creta sono un valido riparo contro gli insulti dell’acqua marina. Tutto il vuoto del gran sotterraneo è riempiuto d’arida sabbia; mercè la quale l’acqua, che in esso sgorga, perde tutto ciò che ha di men puro, prima di passare nella canna, o pozzo propriamente detto, che sta nel centro del recipiente. Usasi formar questo di figura circolare, e di curvi mattoncini sovrapposti l’uno all’altro senza cemento, acciocchè l’umore già depurato dalla sabbia lentamente possa filtrare. Il che con sì buon effetto succede, che noi suoliamo attingere l’acqua sì leggiera e salubre, da non invidiare a chi che sia le migliori sorgenti del continente. Prima che la fabbrica de’ pozzi si conducesse a tal perfezione, è da credersi che si facessero non pochi tentativi. È però assai manifesto per le antiche carte, che sino da lontani tempi numerosi pozzi v’aveano in Venezia sì privati che pubblici, e questi bastantemente acconci al bisogno, giacchè nè il blocco del re Pipino, nè quello degli Ugri, nè quello ancor più lungo de’ Genovesi, valsero a por mai in angustie la nostra città per difetto d’acqua, comecchè tutte le imboccature de’ fiumi fossero intercette e gelosamente custodite dal nemico.
      Il sale, che fu in ogni tempo considerato per l’uomo il quinto elemento, meritò le medesime cure de’ nostri primi isolani. Riconobbero ben presto l’impossibilità di costruir le saline alla stessa foggia degli altri popoli. Conveniva dunque trovarne una affatto diversa.


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Origine delle feste veneziane
(6 volumi)
di Giustina Renier Michiel
Tipografia Lampato Milano
1829 pagine 712

   





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