Non è difficile a concepirsi, che dopo tante fatiche per soddisfare ai primi bisogni della vita, non potessero più i nostri Isolani esser paghi di abitare tuttavia modeste e semplici casette, quasi misere capanne. L’opulenza volle qui trovare que’ medesimi palagi che aveva abbandonati. Ma come giungere a conseguirli sopra un suolo molle, cedevole, ineguale e che spesse volte pareva totalmente mancare? La destrezza, il coraggio, la pazienza e l’oro sormontarono ogni ostacolo. Cominciossi dall’estendere gli spazj del suolo naturale, coll’assettare lungo i suoi margini alcuni gratticci di vinchi ripieni di terra, ben calcati e industriosamente connessi. In seguito si pensò a riempire di terra affatto tutte quelle conche paludose, e coperte di canne, che qua e là rimanevano sparse fra mezzo le abitazioni; operazioni che piacque al Governo di favorir grandemente, accordando la proprietà di questi nuovi terreni a chiunque avesse saputo in certa guisa crearseli. Essi però non potevano sostener edificj di gran peso senza che si avesse ricorso a qualche altro espediente. Ciò fu il conficcare ad una certa profondità varj ordini di pali di quercia strettamente congiunti fra loro, e rafforzati al bisogno da lunghe travi trasversali, sopra le quali distendendosi grossi panconi si venne a formare un solido piano, attissimo a reggere per infinita serie d’anni le necessarie fondamenta. Chi mai percorrendo oggidì le strade di Venezia potrebbe sospettar di premere un terreno fondato dall’arte, e non, come altrove, dalla natura?
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