Che se discendiamo ai secoli X, XI, XII, infiniti s’incontreranno gl’irrefragabili testimonj non men del Veneto perfezionamento nell’architettura navale, che del prodigioso numero de’ vascelli sì mercantili che da guerra, co’ quali essi intrapresero ed eseguirono lunghe e perigliose navigazioni. Basta senz’altro sapere che noi possiamo vantare un Codice marittimo sin dal 1255, quando alcune nazioni, che tanto ora grandeggiano, non potevano forse contare due vascelli sul mare. I Genovesi più che altri, assottigliarono l’ingegno loro per competerla con noi; ma egli è vero però che più la cupidigia delle ricchezze, che l’orgoglio nazionale fu il fomite di quella lor nimicizia, che fece poi da una parte e dall’altra tingere tante volte di sangue l’onde del Mediterraneo e dell’Adriatico. La scoperta del Capo di Buona-Speranza sul fine del quindicesimo secolo pose fine a tanta strage, ma fu pur anco il primo passo della decadenza di tutte le Repubbliche Italiane, compresa la nostra, tuttochè si trovasse allora avere 36000 marinarj, 16000 operaj nell’Arsenale, 330 grandi navi, oltre poi moltissime galee, e gran numero di bastimenti mercantili. Tale scoperta aperse agli altri navigatori un nuovo universo, che parve soddisfare alla loro avidità. A questa l’altra si aggiunse più importante dell’America. Nuova disgrazia, nuovo colpo fatale per la prosperità del nostro commercio; nondimeno ci sostenemmo nel Levante e nell’Egitto. I Veneziani ben calcolato avevano, che le vere basi della forza marittima soprattutto consistono nell’incoraggire la navigazione mercantile e nel far sì, che il commercio non sia mai sacrificato alla Finanza.
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