L’autore del Laocoonte non ci apparirebbe al certo così sublime, se non avessimo avuto di lui che una comandata effigie di qualche borioso monarca, invece di quell’ammirando gruppo, che desterà in tutti i secoli pietà, raccapriccio e terrore.
Non si durerà fatica a credere che un luogo in cui si raccoglievano tanti oggetti piacevoli a riguardarsi, divenisse il centro, anzi la reggia del divertimento e della gajezza. A questo concorreva da ogni parte il bel mondo, e in esso le giovani Veneziane sfoggiavano più che mai il potere e l’incanto de’ loro vezzi. Passeggiavano la mattina nel loro abito nazionale, cioè ravvolte nel seducente lor zendaletto di seta nera che giustamente fu detto emulo della cintura di Venere. Con artificio stava appuntato sul capo, con malizia copriva e discopriva il volto, con eleganza si attortigliava alla vita, e quest’artificio, questa malizia, quest’eleganza davagli il potere veramente magico di abbellir le brutte, e di fare viemmaggiormente spiccar le attrattive delle belle. Esse la sera, mascherando la graziosa loro persona entro un nero mantello ed una cappa pur nera di finissimo merlo chiamata bauta, prendevano tutte una medesima forma. Pure quel piccolo cappello alla maschile, di cui erano adorne, messo con una non so qual bizzarrìa, aggiungeva maggior espressione alla fisonomia, maggior vivacità agli occhi, e freschezza alle guance. Nella Sensa trovava ognuno un diletto a suo modo, ed anche il più severo Aristarco era costretto di rallegrarsi, osservando quel felice miscuglio della più antica e rispettabile nobiltà, coll’onorata cittadinanza e coll’altra moltitudine di ogni classe che si approfittava indistintamente di un passeggio abbagliante di giorno per l’apparato di tante ricchezze, e molto più la notte per lo splendore di tante faci.
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