Questa specie di Festa, giacchè tale poteva chiamarsi la Fiera dell’Ascensione, continuò in tutto il suo lustro, e col medesimo concorso de’ forestieri sino al 1796. Ma l’anno appresso quando appunto lo steccato della Piazza doveva venir rinnovato, la sedicente Democrazia nel suo furor distruttivo, coperto dal velo della perfettibilità, fece man bassa sopra la Sensa, sul Bucintoro, sul Corno Ducale, sul Libro d’oro, e su tutto ciò infine che risvegliar poteva la memoria degli antichi patrj istituti; e parte di queste cose mise in pezzi, parte ne incenerì con trasporti sfrenati di gioja, forzando, per così dire, i miseri Veneziani che non potevano certo partecipare nè dei suoi eccessi, nè delle sue idee, a ridere dentro ai fianchi del toro di Falaride.
Festa dei banchetti pubblici.
Un pubblico Banchetto facendo parte della gran solennità del giorno dell’Ascensione, pare opportuno il parlar qui sì di questo come degli altri tutti, con cui la Repubblica costumò di rallegrare alcune sue Feste.
I nostri saggi antenati incessantemente intesi, com’erano, alla comune felicità, si compiacquero di ammettere tutti quegli utili usi che trovarono presso altri popoli. La storia avea loro mostrato che tutte le nazioni avevano instituito pubbliche mense, chiamate dai Greci Filitie, cioè a dire, associazioni di amici, ovvero Agapi, cioè banchetti rallegrati dall’amore e dalla virtù. Venivano essi considerati come il miglior mezzo per la conservazione delle leggi, per l’unione fra i cittadini, e per aggiunger energìa ai legami della loro mutua amicizia.
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