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      Vedevasi da per tutto brillar la gioja universale, la quale assai più che dalla soddisfazione dei sensi, derivava dal piacere della conversazione, e dalla reciproca effusione del cuore. Non v’ebbe mai bisogno qui di ricorrere a quella legge stabilita da Licurgo, la quale ordinava che si esponesse nella sala del convito il simulacro del Dio del Riso. La giovialità nobile e decente che regnava fra i nostri convitati, escludeva pur anche quell’altro uso greco che commetteva al più vecchio fra i convitati di avvertire gli altri a moderare il tuono della voce, sia nel parlare che nel ridere. La gioja che deriva veramente dal cuore, non è già un movimento convulsivo e disordinato che giunga fino al trasporto: gli uomini costantemente felici si abbandonano al piacere con una tranquillità, poichè la loro anima non ha bisogno di venire distratta da scosse atte a cancellare le anteriori impressioni.
      Da lungo tempo era proibito rigorosamente ai patrizj, al Doge stesso il tenere comunicazione di sorte alcuna co’ ministri delle corti forestiere, eccetto che nelle occasioni di pubbliche solennità. Quindi è che il Corpo Diplomatico coglieva allora l’opportunità di parlare col Doge, e compiacevasi di corteggiarlo. Gli Ambasciatori che avevano fatto il loro ingresso, sedevano fra i commensali; gli altri non potevano presentarsi che incognitamente all’uso Veneziano, cioè a dire, mascherati di mantello e Bauta. Gli individui della famiglia ne facevano gli onori: toccava ad essi l’accompagnarli; presentavano essi al Doge i Re ed i Principi che si trovavano in Venezia: vi furono degl’Imperatori che si compiacquero di assistere ai banchetti della Repubblica.


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Origine delle feste veneziane
(6 volumi)
di Giustina Renier Michiel
Tipografia Lampato Milano
1829 pagine 712

   





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