Non è sempre vero, che il tempo sia un fatal distruggitore delle belle opere; egli è talvolta per esse un liberal donatore. Suo dono in fatti è la fosca tinta di cui vanno aspersi questi gessi, e che imita sì bene il color del marmo antico da produrre un piacevole inganno. I pochi che tuttora biancheggiano, ci avvisano delle nostre glorie recenti. Son essi quelli, che il Canova trasse dalle ammirate sue opere, e che quel tenero figlio attaccato alla sua patria, tratto tratto ci mandava da Roma, ove i suoi lavori e le sue abitudini il tenevano legato. Tempo verrà che perdendo anch’essi il loro colore nativo, svanirà l’unico indizio che ci restava per distinguerli dai lavori di Fidia, di Prassitele e di Policleto.
Alla rinata accademia delle belle arti null’altro mancava, che un genio intelligente ed attivo il quale prendendola in cura ne dirigesse le funzioni, ne allontanasse gli abusi, e ne accrescesse i fregi e l’onore. Questo genio lo vedemmo con piacere nel presidente conte Cicognara, che secondato dal suo degno segretario, e nostro ottimo concittadino Antonio Diedo, nulla lasciò intentato, onde contribuire ai di lei progressi.
Non vi sia chi mi accusi, che col diffondermi in tali narrazioni, siami un po’ troppo allontanata dal primario mio assunto delle Feste Veneziane. Parmi di esservi ancora, parlando di quella che celebrasi al presente ogni anno nel mese di agosto nel medesimo ricinto della Carità cogli sforzi che fanno tutti gli artisti, onde abbellirla colle loro opere.
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