Tre volte ripetevasi questa cerimonia durante la processione, dopo di che il Doge ed il suo seguito si ritiravano. Molti, non v’ha dubbio, recavansi in piazza per godere col popolo di questa piacevole caccia, che non finiva sì presto, attesi gli sforzi che gli uccelli facevano per isfuggire dalle mani di chi li perseguitava, e dai gridi d’una moltitudine ebbra di gioja, la quale nell’atto che bramava ghermirseli, applaudiva tuttavia al buon destino di que’ volatili, qualora ad essi riusciva di non essere acciuffati. Gli applausi che alternativamente facevansi or a questi uccelli, che procacciavansi per sempre la libertà, or a quelli, che piombavano a terra per divenir vittima degli Dei Penati, porgevano un’idea dello spirito versatile degli uomini, agitati a vicenda da contrarie passioni, allorchè sono uniti in corpo, e tolti a quello stato d’isolamento, che può sottoporli ai serii calcoli della ragione e della giustizia.
Ma la natura provvide gli uccelli di un mezzo di difesa assai valido, contro il quale nulla può l’uomo, s’egli non prende in prestito dalla meccanica e dalla chimica una forza superiore. Senza tale soccorso il suo orgoglio dominatore resterebbe umiliato a petto dell’agilità di queste mansuete creature, che con un volo rapido come lo sguardo, si slanciano a distanze impercettibili, e lasciano il sovrano del mondo vergognoso della sua pesantezza, e della sua debile pupilla, che le perde di vista, allorchè si accostano al sole, in cui egli non può fissar l’occhio.
| |
Doge Dei Penati
|