Illuminavano questo spazio a dritta e a manca certi fuochi piantati sull’acqua, chiamati ludri, composti di corda bene impeciata, che mandavano anche da lungi un vivacissimo splendore, il quale riflettuto nell’acqua produceva un effetto magico. Giunta Sua Serenità alla riva dell’Isola, passava a piedi per mezzo di una elegantissima galleria costrutta appostamente, tutta coperta e chiusa sino alla porta maggiore della chiesa. Vedevasi in quest’occasione e nell’altra dell’Ascensione schierata la truppa Dalmata, sfarzosamente vestita, con bandiera spiegata, con banda militare suonante, il tutto per dimostrare esser essa intervenuta festeggiante a decoro del Principe, e a destare la commovente idea di amorosi figli che si recano come spontanei a circondare il loro tenero padre, non giammai a mantenimento dell’ordine, nè alla sicurezza di lui; cose queste ch’erano sempre affidate al solo cuore della Veneta popolazione. Veniva Sua Serenità ricevuta alla porta maggiore della chiesa dal Rev. Padre Abate di que’ monaci, il quale vestito pontificalmente e colla mitra, faceva un complimento al Doge, e questi graziosamente gli rispondeva. Indi entravano in chiesa, dove facevano alcune preci. Frattanto anche le nostre Venete matrone scendevano dalle loro gondole, vestite di nero, con lungo strascico, ornate la testa, il collo, il petto e le orecchie di preziosissime gioje, avendo il volto velato di un finissimo merlo nero. Entravano esse pure divotamente in quella chiesa già affollata di gente.
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