Dopo alcun tempo, tutta la regal comitiva rimettevasi in viaggio, rinnovando agli spettatori, accorsi sulle due opposte rive, uno spettacolo singolare, abbagliante, piacevolissimo. L’abbiamo ancora veduto tale a’ nostri giorni. In questo modo davasi fine ad una sì bella sera.
La mattina susseguente, il Doge col medesimo corteggio della sera antecedente recavasi di nuovo all’Isola di S. Giorgio, e rientrava in quel suntuoso tempio, opera insigne del nostro celebre Palladio. Vi si cantava la messa, dopo la quale il Doge col suo seguito recavasi nel proprio palazzo. Allora davasi principio alle feste civili, le quali, sia in un modo o nell’altro, quasi sempre seguivano in Venezia le sacre funzioni. In questo dì il Doge riteneva a pranzo tutti quelli ch’erano stati con lui. Il popolo che avea ammirato il divoto raccoglimento de’ togati padri nel tempio, non era meno soddisfatto di poter godere dappresso la loro dolce serenità al pubblico banchetto.
Frattanto la piazza empivasi de’ più sfarzosi ed eleganti cittadini. Le nostre belle vi andavano anch’esse a far pompa non meno dell’avvenenza che delle domestiche ricchezze. Questo era uno de’ giorni della loro maggior gala. Sotto il velo della maschera nazionale passeggiavano esse la gran piazza, ove da una parte e dall’altra stavano schierate due file di scranne, sulle quali ognuno poteva sedere liberamente e godere di quella pompa brillante. Ad accrescere l’allegria della giornata si formavano numerosi pranzi di società, e il tutto finiva coll’apertura di sette teatri, dove ogni classe di persone trovava un diletto ad essa proporzionato.
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