Non v’è forse in tutta Europa una località più opportuna di questa per siffatta instituzione.1 E chi mai v’ha, che volgendo lo sguardo alle nostre lagune, ai fiumi che accolgono, al mare che toccano, alla nostra superba città, agli edifizj vastissimi, alle vaghe isolette che nel loro giro racchiudono, ai liti abitati da cui sono cinte, non esclami: oh quale immensa potenza marittima e commerciante qui un giorno non si doveva ricoverare! Nè meraviglia potrà fare, che il nostro commercio siasi mantenuto floridissimo per lo spazio almeno di nove secoli, cioè dal 700 sino al 1600, e che anche nei secoli posteriori Venezia abbia superato in ricchezze ogni altra città d’Italia, come lo provarono le somme incredibili uscitene per le vicissitudini politiche, senza che per un tempo ne rimanesse mal concia. Venezia potrà sempre riprendere gran vigore, avendo essa, come osservammo, sopra tutte le altre città commercianti, infiniti vantaggi, ai quali dobbiamo aggiungere il suo credito di già stabilito, la solidità già fondata del suo commercio, e la conosciuta moderazione di chi lo esercita. Che se tutto ciò non avesse bastato per l’intera prosperità di una tale instituzione, vi avemmo inoltre uno zelante e ben instrutto cittadino, il quale animato dal favore del Governo potè farsi capo di altri non meno zelanti cittadini per indicare gli utili regolamenti da farsi affine di ottenere il desiderato effetto. È questi il signor Treves, il quale ad estesi lumi in fatto di commercio unisce un appassionato amor patrio, ed un carattere sì leale e franco da non trovarsi mai sopraffatto da ingiuste accuse, nè disanimato da ostacoli di qual si sia sorte, ma sempre dritto va pel suo cammino, la cui meta è il bene della sua patria.
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