Quindi colse il momento, che i Veneziani facevano la guerra ai Padovani e Ferraresi, per ragunare egli in fretta un buon sussidio di gente dai feudatarj Friulani a lui bene affetti, e per occupare a tradimento l’infelice città. Ma appena il Doge Vital II Michiel udì l’ingiusta aggressione, che armò una flotta, fece vela inverso Grado, circondò la città, pose a terra le truppe, sconfisse il nemico, riacquistò la piazza, e vi sorprese il Patriarca con dodici de’ suoi canonici e alcuni de’ suoi vassalli, che fece prigionieri, e condusse in trionfo a Venezia.
L’entrata del Doge tanto fu pomposa, quanto cospicua era stata la sua vittoria. Dietro lui veniva Ulrico vinto, abbattuto, disperato di vedersi vittima del suo folle ardire. L’avvilimento e la tristezza, conseguenze ordinarie di una vergognosa sconfitta, il persuasero a fare ogni sforzo per placar la Repubblica e ricoverare la sua libertà. Egli offerse di sottoporsi a qualunque condizione fosse piaciuta al vincitore, e di pagare ad ogni costo il suo riscatto. Le replicate sue offerte e le calde preghiere furono lungamente vane. Due forti motivi mossero il Governo ad usar sommo rigore. L’uno fu quello di annientar l’orgoglio di Ulrico, togliendo al tempo stesso ai di lui successori la voglia di provocare più oltre la vendetta della Repubblica con pretensioni novelle; l’altro fu per rendere la memoria del fatto eternamente durevole, onde impegnare il popolo stesso a conservarsi pronto a difendere il proprio suolo, la sua indipendenza, e i diritti e i privilegi della nazione.
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