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      Queste vittime passavano in mezzo alla moltitudine, avida di vederle atterrate. Il popolo coll’occhio scintillante e pieno il cuore della propria gloria, usciva in trasporti di gioja, ch’erano quasi altrettanti pegni di nuove vittorie. Stava esso attendendo con impazienza il segnale, e parevagli rivedere il giorno del suo trionfo, e vi applaudiva con altissime grida a punizione e vergogna de’ suoi nemici. La grande esecuzione, o diremo piuttosto il simbolico sacrificio, che si faceva alla presenza del Doge e della Signoria, era sempre accompagnato da non interrotti battimenti di mano, e a fischi ed urli di scherno contro i vinti. Ciò fornito, il Doge col suo corteggio passava nella sala del Piovego, dov’erano que’ castelletti sopra menzionati; e qui Egli ed i suoi Consiglieri, dato di piglio ad un bastone, armato di punta di ferro, ed ajutati dal popolo che da ogni parte accorreva, battevano a gran colpi que’ castelletti, sino a tanto che non ne rimanesse più traccia; per significare con ciò la vendetta che si sarebbe fatta de’ Castellani feudatarj, se mai più avessero favorito le ingiuste pretese dei Patriarchi Aquilejesi contro la chiesa di Grado.
      Conviene confessare, che oggidì tali spettacoli non avrebbero nulla di piacevole e di giocondo: ma quelli dei Greci e de’ Romani erano forse più ragionevoli di questi? Abbiamo inoltre a nostro vantaggio il tempo in cui furono instituiti, tempo di tutta semplicità non disgiunta da una severa giustizia. Col progredir degli anni si conobbe quanto ridicole fossero tali costumanze, e come poco si addicessero alla dignità di una nazione incivilita.


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Origine delle feste veneziane
(6 volumi)
di Giustina Renier Michiel
Tipografia Lampato Milano
1829 pagine 712

   





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