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      In particolare l’ultimo giovedì di Carnovale, detto volgarmente Giovedì Grasso, le due fazioni de’ Nicolotti e Castellani facevano i maggiori sforzi per superarsi a vicenda. Seguiva lo spettacolo nella piazza di san Marco sotto gli occhi (siccome abbiamo di sopra accennato) del Doge vestito a gala, della Signoria, del Senato e degli Ambasciatori, collocati dignitosamente nella galleria del palazzo Ducale, che guarda la piazza.
      La Festa cominciava dal sacrificio del toro; cerimonia che teneva dell’antico, e la sola che si conservasse della prima instituzione, della quale abbiamo parlato. Ciò ch’eravi di più osservabile del popolo, ciò ch’eccitava per parte sua i maggiori gridi di gioja, gli applausi i più vivaci, si era la destrezza di quello che decollava l’animale, la cui testa dovea cadere e rotolare sulla terra ad un sol colpo di sciabla, ed il ferro non doveva, malgrado la violenza del colpo, toccare il terreno.
      A questo spettacolo succedeva il volo di un uomo armato di ali, che vedevasi partire da una barca ancorata alla sponda della piazzetta, ed innalzarsi sino alla camera del gran campanile di san Marco. Traversava costui sì grande spazio di aria, mercè di una gomena fortemente assicurata da uno dei cavi alla barca, dall’altro al comignolo del campanile. Egli veniva legato a certi anelli infilzati nella gomena, e col mezzo di un’altra fune e di parecchie girelle lo si faceva ascendere e calare con gran velocità e agevolezza, come se adoperasse le sue ali. Il suo cammino aereo era tracciato in modo, che dopo essere asceso al campanile, calava sino all’altezza della galleria del palazzo, dove presentava al Doge un mazzetto di fiori ed alcuni sonetti; indi ritornava all’alto della torre, e quinci di nuovo scendeva alla sua barca.


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Origine delle feste veneziane
(6 volumi)
di Giustina Renier Michiel
Tipografia Lampato Milano
1829 pagine 712

   





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