Il popolo in tal guisa ammaestrato, quando occasione gli si fosse offerta, non avrebbe avuto mestieri, come gli altri popoli, di ricorrere al comun ajuto delle scale per ascendere ad una fortezza; potea pur anco di leggieri manovrare un vascello in burrasca, montare sull’estremità degli alberi e dei cordaggi per quanto soffiasse il vento; tenersi saldo su piedi, o piegare il corpo in modo, che secondasse le scosse del bastimento, e l’agitazione dell’onde sbattute o dalla burrasca o dal combattimento; e tutti questi vantaggi preziosissimi per lo Stato erano l’effetto delle sue gare da scherzo.
Compiuto questo spettacolo, tantosto ne veniva un altro, motivo anch’esso di nuova emulazione tra i due partiti. Era desso una specie di lotta scherma tolta dai Saracini, che volgarmente dicevasi la Moresca, la quale non men dell’altra esigeva agilità, pieghevolezza di membri e gagliardìa. Li combattenti si accignevano con sì grand’ardore, che avresti detto trattarsi dei loro interessi più cari e del loro più importante trionfo. Gli spettatori cogli occhi ed i cuori fisi sui bravi atleti, osservavano il principio di quest’esercizio guerriero, ne seguivano i progressi, ne aspettavano l’esito con quella inquietudine piacevole, con quel palpito, con quell’impegno, che fa sospendere il respiro, quasi per tema di turbare con picciolo sussurro l’azione de’ lottatori. Ma lo stato di estasi, d’immobilità e di silenzio che teneva tutti i moti dell’anima in freno, ben presto cessava, e scioglievasi in un immenso scroscio di viva, di applausi, di trasporti, di cui rintronava la piazza, e che a poco a poco mancando, cangiavasi in quel cupo mormorìo, che nasce dal contrasto di tante migliaja di uomini, che si sforzano colla voce di attribuire la vittoria a quella fazione che ciascun favorisce.
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Stato Saracini Moresca
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