Merita osservazione altresì la gran sala, dove più di cento femmine adoperavansi intorno alla facitura delle vele; e molto più quell’altra, in cui stavano in bell’ordine schierati i modelli delle fortezze primarie dello Stato, delle macchine più ingegnose, de’ ponti più singolari, e finalmente di tutte le forme de’ vascelli dalla prima epoca della nostra marina sino a’ tempi recenti. Ben fu sciagura, che tra esse andasse perduta sin da lontana epoca la forma di quella famosa Quinquereme, con cui il nostro Vettor Fausto nell’anno 1529 era giunto a rinnovare la ricordanza delle Quinqueremi Romane. Egli è certo, che tanto romore ed applauso destò nel mondo la sua invenzione, che sarebbe un monumento prezioso per noi il modello di un’opera, che non meno all’autore che al nostro Arsenale in cui fu lavorata, apportò tanta gloria, da venir esaltata a cielo e in verso e in prosa dalle più illustri penne. Ma che diremo di quelle altre sale piene di armi di ogni sorte e di superbi trofei? Se tu fissi lo sguardo su quelle antiche figure da capo a piedi vestite di ferro e su quelle braccia in atto minaccioso, non sapresti decidere se stieno per iscagliare un mortal colpo sul capo a qualche barbaro Musulmano, ovvero se s’accingano alla difesa contro que’ barbari d’altra fatta, che ad annientarle aspirano. Che se dopo un orrido tremuoto osservasi con certa sensazione penosa quegli uomini, che sotto le sue rovine conservano tuttavia l’ultima attitudine del loro ultimo pensiero, qual impressione far non dovranno le immagini di azioni vive ed illustri di que’ medesimi uomini quivi raffigurati?
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