Quindi è che il requisito della probità era uno de’ maggiori, che si esigesse dalla pubblica vigilanza in qualunque impiego, nè certo senza esso poteva veruno nutrir lusinga di diventare inspettore ai boschi, nè capo architetto, ed ancora meno ammiraglio dell’Arsenale.
Or chi potrebbe mai, avendo di questo stabilimento parlato, passare sotto silenzio la tenerezza veramente filiale, e il focoso entusiasmo verso la Veneta Repubblica di più di tre mila uomini all’Arsenale addetti, che per ciò erano giunti a meritarsi il glorioso titolo di sua prediletta famiglia? Il primo sentimento che da cuore a cuore, da generazione a generazione passava e discendeva, era questo illimitato amore per la Repubblica, nè con altro nome sapevano i buoni Arsenalotti chiamarla che con quello di nostra benedetta Mare. Era dolce cosa il trovarsi presente al mattutino aprirsi delle officine, ed al chiuderle della sera, e l’udire quelle spontanee grida di Viva san Marco, che proprio scappavano dal cuore, e che ripetute venivano dal balbettante labbro de’ teneri fanciullini. Questa reciproca affezione aveva, dirò così, tra il Governo e gli Arsenalotti introdotta, stabilita e perpetuata una certa gara di fiducia, per cui non sapevasi discernere, se fosse più soave il comando degli uni, o più pronta e giuliva l’obbedienza degli altri. Ed il titolo di Patroni che portavano i Governatori dell’Arsenale, giammai meglio espresse, e con più verità la primitiva sua derivazione dalla voce Padre. Degli Arsenalotti la Repubblica si valeva per provvedere i vascelli da guerra d’industri artefici, i quali potessero viaggiare, e riparare ai disordini prodotti dalle fortune di mare, e soccorrere ai bisogni dei cantieri nella Dalmazia e nel Levante.
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