Nè il soffio ardente de’ venti meridionali che tutto fanno appassire e diseccano, nè il rigore dell’aquilone osò giammai toglier ivi ai giardini l’ornamento dei loro vivi colori. Lungo spiaggia sì ridente la citta di Tiro s’innalza. Se una simile città avea meritato, che altre volte Alessandro il Grande la riguardasse come una delle sue più preziose conquiste, non è a stupirsi, che i Veneziani facessero ogni sforzo per riscattarla dalle mani del Califfo d’Egitto, che ne possedeva una parte, e da quella del Soldano di Damasco che ne occupava il resto.
Se ne prepara dunque immediatamente l’assalto. Le truppe di Gerusalemme la circondano dalla parte di terra, ed intanto la flotta Veneta s’incammina ad attaccarla dalla parte del mare. La città di Tiro non era accessibile alle truppe terrestri che dal lato di Oriente, mediante un istmo angustissimo, ed anche difeso da forti muraglie e da elevate torri, cui ricingea una fossa profonda e larghissima. A settentrione, a mezzodì e a ponente l’attorniavano vasti scogli a fior d’acqua, ed inoltre fortificavala un doppio giro di muro. Il suo porto era difeso da due immense torri, che ne proibivan l’ingresso. Ed oltre a tutto ciò numerosa guarnigione, molto agguerrita la custodiva di dentro, che dovea per lo meno far temere agli assalitori di aver a spendere molto tempo, e a sostenere lunghe fatiche prima di poter ottenere il sospirato successo.
Ad onta di tante difficoltà insieme accoppiate, cominciò dall’una parte e dall’altra l’attacco; ma lente erano le operazioni a motivo del numero e della natura degli ostacoli da superarsi.
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