I tentativi furon molti, ma sempre vani, e dopo tre mesi non si vide più avanzamento di prima. I Veneziani, avvezzi a prendere quasi sempre le città al primo tratto, cominciarono a mostrarsi svogliati e stanchi, nè vi volea meno che la grande fermezza del Doge per tenere a freno l’armata, ed impedire la diserzione. Per colmo di sfortuna si divulgò la voce, che il Soldano di Damasco ragunava un forte esercito per correre in ajuto de’ Tirj; e tanto bastò perchè il campo di terra fosse messo a rumore; giacchè i soldati prevedevano, che se tale esercito giungeva, tutto il fuoco della guerra si sarebbe rivolto contro essi, mentre i Veneziani, rimanendo sempre aperto il mare, potevano in caso di qualche sinistro ritirarsi. A chiare note aggiungevano, che se questi Repubblicani doveano essere fatti partecipi degli utili delle conquiste, era giusto che ne incontrassero anche i pericoli; che le condizioni insin allora non erano state pari, poichè gli uni rimanevano esposti a tutti i rischi, e gli altri vivevano in piena sicurezza.
Giunsero tali mormorii all’orecchio del Doge Michiel, ed ei ne rimase grandemente offeso, e a buon diritto, poichè era uomo franco, leale, generoso, esatto mantenitore delle promesse, incapace della più piccola viltà, e che avea in conto di sanguinosa ingiuria ogni ombra di sospetto, che altri osasse spargere contro l’equità dei suoi sentimenti. Egli adunque studiò il modo di poter convincere la moltitudine delle sue rette intenzioni, contrarie affatto ai loro manifesti timori Gli nacque un pensiero non poco ardito, che tosto volle eseguire.
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