Sfidano a guerra mortale il tiranno, e vogliono la conquista di Costantinopoli. Il volere ed il riuscirvi fu l’opera di poco tempo. Il tiranno si fugge, le porte della città si aprono, i Greci vengono ad implorar la clemenza de’ vincitori.
Ai 12 di aprile dell’anno 1204 cadde dunque la famosa città, che dopo avere lungo tempo dominato l’universo era divenuta l’ultimo centro della romana grandezza; che nei giorni nuvolosi del suo spirante splendore era stata il teatro delle più tragiche scene, l’asilo di ogni sorta di perfidie e di eccessi, e che infine dovette succombere con sua gran vergogna a fronte di soli venti mila Latini, di cui essa avea irritato lo sdegno, e da’ quali, se avesse ottenuto il perdono, sarebbe stata troppo felice.
Orrenda cosa è a ridirsi quale fosse il saccheggio, l’incendio, la strage. Puossi asserire con certezza, che il Dandolo rinnovò il fatto di Scipione, che distrutta Cartagine si volse mesto a guatarne le rovine. Egli avrebbe desiderato di poter almeno salvare intatto ciò che pur rimaneva dopo i due terribili incendj e devastazioni della città. Ma a que’ tempi ancor barbari non era possibile frenare la cupidigia del soldato conquistatore, il cui premio principale era il saccheggio della città e degli abitanti. Pure il Dandolo tutto pose in opera per minorar i mali, ed al saccheggio stesso diede un qualche ordine. Tre chiese vennero assegnate come deposito del bottino, sotto pena della scomunica e della morte a chiunque avesse disobbedito. Per intimorire anche coll’esempio, venne appiccato con le sue armi e con lo scudo al collo un ajutante di campo del conte di S. Polo convinto di avere violato questo sacro dovere.
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