L’imperatore d’Austria pensò che fatto avrebbe cosa degna del suo cuore coll’ordinare, che non già nella sua capitale di Vienna, ma nella città di Venezia fossero ricondotti a testimonio perpetuo e irrefragabile dell’antico valor Veneto. Tal ordine emanato, venne tosto eseguito. Volle egli inoltre, che si riponessero nel primo lor sito a meglio ridestare negli abitanti un vivo senso di gioja, che andasse del pari col vivo senso di dolore esperimentato allorchè ne vennero tolti. Di fatti al rivederli colà, il popolo giubilante parve dimenticare che quello fosse un dono, e gli si risvegliarono i sensi dell’antica sua grandezza, di cui andava superbo nell’epoca gloriosa, che padroni ne avea renduti i nostri antenati. Dono per altro è questo preziosissimo; dono di augurio fortunatissimo, giacchè ovunque andarono questi cavalli, dietro si trascinarono lustro e prosperità, siccome fu lor costume di partire da quegli Stati che decadevano di possanza e di signoria.
Dopo la divisione del bottino si venne a quella delle terre. I Veneziani oltre le isole dell’Arcipelago, e parecchi porti sulle coste dell’Ellesponto, della Frigia e della Morea, ebbero il possesso formale della metà di Costantinopoli. Anche questa disposizione fu opera di Enrico Dandolo, che non perdea mai di vista tutto ciò che tendeva alla gloria e all’ingrandimento della Repubblica da lui riguardata qual potenza marittima. Felici noi se avessimo sempre continuato a pensar così! Per questa ragione appunto, egli avea scelto le isole, i porti e le piazze sul mare, considerandole come vere forze a cagione del commercio e della navigazione, e preferibili a tutti i possessi del Continente.
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