Questa volta il disordine non venne dalla parte dei Greci nativi, poichè dopo parecchi infruttuosi tentativi sembravano finalmente disposti a tollerare l’imposto giogo. Furono bensì i Veneti coloni stabiliti nell’isola, i quali unanimemente inalberarono lo stendardo della ribellione. Cominciarono dal lagnarsi, che nessun di loro fosse chiamato a Venezia ad occupare il posto di Savio, ch’era una delle prime dignità dello Stato, pretendendo che per essere essi una porzione distinta del corpo della Repubblica non doveasi trascurare di assegnare loro nel Gran Consiglio un certo numero di posti, affine di avere in Venezia persone, che procacciassero di preservare i loro diritti e difenderne gl’interessi. Su di ciò si determinarono di presentare al governo di Candia una supplica, la quale letta appena, uno de’ Consiglieri rivolto a’ deputati disse con ironia: ah! ah! vi sono de’ Savj fra di voi? Questo amaro scherzo fu la scintilla, che accese un grande incendio. Da quel momento ad altro non si attese, che a macchinare la ribellione. Vi voleva nondimeno un pretesto; e questo si trovò, benchè mancante di fondamento. Il Senato di Venezia avea spedito in Candia un ordine, con cui veniva stabilita una nuova imposta, per la riparazione del porto e del molo. Gl’isolani senza punto badare all’utile comune che da queste operazioni derivava, si ammutinarono, dichiarando di non voler assolutamente obbedire, e sull’istante presero le armi. Si portarono tumultuariamente al Doge Leonardo Dandolo, e trovando le porte chiuse si provarono di abbatterle.
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