Le case, le proprietà di molti abitanti furono saccheggiate, e le loro vite esposte al furore d’uno sfrenato popolo. Non v’erano più consigli per dirigere gli affari, nè sicurezza per chi che sia. Il sospetto si librava su tutte le teste; tutto era confusione, disordine; si giunse insino ad andar armati al palazzo chiedendo la strage di tutti i Latini, che trovavansi nelle prigioni. Questa moltitudine dimandò inoltre, che dieci Greci fossero ammessi in tutti i Consigli di Stato, e che senza di essi non si potesse deliberare di verun affare relativo al regno. Tutto era stato regolato sino allora col consiglio di Giovanni Calergi, cittadino il più accreditato dell’isola ed il più amato dal popolo. Pure ben presto sospettossi anche delle di lui intenzioni. Si credette ch’egli volesse rendersi assoluto padrone di tutta l’isola, e sull’istante fu preso e balzato da una finestra del palazzo. Quel medesimo popolo, che poco innanzi lo avea proclamato liberator della patria, ecco che ora lo giudica degno di una tal morte; applaude a’ suoi assassini, e spinge il suo frenetico furore fin a gettarsi sul cadavere insanguinato, che lacera in mille pezzi, portandoli in trionfo per tutta la città.
Alla vista d’uno spettacolo sì orrendo, d’una condotta sì barbara, la maggior parte de’ nobili ch’entravano tra i ribelli, vedendo l’incostanza del popolo, cominciarono a temere per la propria sicurezza. Giudicarono essere più saggio avviso il prevenir le sciagure, invocando la paterna clemenza del Governo di Venezia.
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