E quale infatti, quale spettacolo più vago e più giusto immaginare si potrebbe, quanto il mirare una città giustissima, non d’ingiurie fatte ai vicini, non d’intestine discordie o di rapine come le altre, ma esultare della sola giustizia? È questa l’augustissima città di Venezia, unico nido in presente di libertà, di pace, di equità; unico rifugio de’ buoni; unico porto in cui le navi sbattute da tiranniche e guerriere burrasche amano di ritirarsi in salvo; città ricca d’oro, più ricca di fama; potente per facoltà, più potente per virtù; fondata sopra solidi marmi, più solidamente piantata sulle basi della civile concordia; cinta da salsi incorruttibili flutti; protetta da più incorruttibili consigli. Nè credere già ch’ella esulti pel riacquisto dell’isola di Candia; che quantunque illustre per antichità di nome, pur è piccola cosa: giacchè per le anime grandi piccolo è tutto, s’anco appare massimo, tranne la virtù; ma perchè l’esito si fu, qual esser dovea, vo’ dire, ella esulta non della vittoria sua, ma di quella della giustizia. E di vero, che gran vanto è egli mai per uomini forti, potenti, scorti da tanto Duce, e maestri di guerra non men terrestre che marittima, l’aver superati alquanti inermi Grecucci e la nequizia fuggiasca? Gran vanto egli è piuttosto, che anche a nostri giorni sì prestamente ceda alla fortezza la fraude, e i vizj soggiacciano alle virtù, e che tuttora Iddio abbia cura, e provvegga alle umane vicende. Io sono il Signore, egli dice, e non cangio. E di nuovo: Io sono chi sono.
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