Nulla dunque di più naturale che tante attrattive potessero sedurre. Conviene d’altra parte osservare, che non trattavasi già di superare vere Amazzoni, e che quelle dame sapevano, che la loro severità non doveva essere se non da scherzo. A que’ tempi non meno che a’ nostri, potevano i costumi permettersi benissimo di riguardar quelle antiche eroine siccome esseri favolosi, quanto la sì celebrata Fenice; le nostre non si davano vanto d’un coraggio soprannaturale. Che che sia, i Padovani, che combattevano presso i Veneti, arrabbiavano in vedere i progressi di questi emuli, e si posero ad insultarli con motti ingiuriosi. È ben a credersi che i nostri non si lasciarono sopraffare, nè meno in questa nuova specie di guerra, il che pose il colmo alla collera de’ Padovani, che non potendo più contenerla, si scagliarono sull’alfiere, gli strapparono di mano il vessillo di S. Marco, e il lacerarono. Bastò questo a produrre un grido generale che chiamava all’arme; tutto fu confusione; si pugnò veracemente dall’una e dall’altra parte e con tal furore, che i magistrati di Treviso durarono gran fatica a separare i combattenti e a farli uscir di città. Ecco qual trista fine ebbe una festa, che avea cominciato con sì gran brio, e che cagionava tanta allegrezza. Ma l’animosità era stata troppo viva, perchè le cose senz’altro si acquietassero. I Padovani non respirando che vendetta, appena tornati in patria non mancarono, siccome avviene, di mascherare il loro torto, e di dipingere la condotta degli avversarj co’ più negri colori.
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