Se il timore di conseguenze funeste rendea difficile l’eseguire la prima condizione, la vergogna de’ Padovani in vedersi a quel modo scherniti, ponea maggior inciampo alla seconda. Essi avrebbero preferito di pagar piuttosto una gran somma; ma era stile de’ Veneziani il punire in un modo sensibile, nè cosa v’era più propria a questo, quanto il ferire l’amor proprio. La necessità costrinse a sottoscrivere sì duro trattato. I quindici Gentiluomini condotti a Venezia pagarono bastante pena colla sola paura che n’ebbero, e quindi si permise loro di tornare in patria. In quanto ai trecento prigionieri, essi divennero lo spettacolo e lo scherno di tutta la ciurmaglia, la quale nel giorno prefisso accorse a vedere questa nuova specie di cambio, e così quella diventò del popolo di Venezia una verace Festa. I polli vennero numerati a due a due per ciascun soldato, e durante tal computo scoppiavano acclamazioni da tutte le parti. Il popolo ebbro com’era di gioja, avrebbe voluto che i Padovani, a somiglianza del Patriarca di Grado e de’ suoi Canonici, pagassero un annuo censo in memoria di questa guerra; ma il Doge Ziani era troppo saggio per non accordare che si ripetesse un insulto, il quale non dovea essere che una lezione leggera in apparenza, benchè di profonda impronta nell’animo di chi la riceveva. L’esempio addotto dal popolo non era applicabile al caso presente; poichè evvi una gran differenza tra il punire alcuni individui temerarj, ed una intera città illustre, illuminata e valorosa.
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